Scrivo questa coppia di articoli perché un “collega del ferro” ha postato su un forum che frequento una serie di considerazioni sul fatto che lui non riesce a squattare con la profondità voluta. La profondità di discesa è sempre stata un mio problema, perciò vorrei condividere con voi alcune considerazioni.

Il primo articolo è puramente descrittivo, il secondo è pieno di formulazze. A voi scegliere cosa leggere! Se il solito deliro di scritte o il solito delirio di calcoli…

Ma… bando alle ciance e cominciamo.

Ho conosciuto lo squat nel 1992 quando ero militare nel Gruppo Sportivo dell’Aeronautica. Guardavo affascinato i miei amici lanciatori che si dilettavano a sollevare quel bilanciere grondante di pesi (erano tutte rotelle gommate, perciò il risultato era impressionante anche con 180-200Kg). Mi ci buttai a capofitto, avendo come obbiettivo di raggiungere i 10×140Kg (ovvero 3 rotelle da 20 per parte sul bilanciere olimpico) che Ed Corney si spara in Pumping Iron, Da allora non ho mai abbandonato questo esercizio che mi ha fatto letteralmente impazzire. Amore e odio furiosi. Ho sempre fatto squat per sfida con me stesso, non per la massa muscolare, per la forma delle gambe a goccia o quant’altro. Pura guerra senza quartiere. Io o lui.

Il mio problema è che mi sono sempre allenato da solo, senza supervisione, o in ambienti dove il livello tecnico era infimo o semplicemente dove ero troppo forte per poter accettare delle critiche, un comportamento che andrebbe evitato ma che è anche umano (e io lo sono…): a nessuno piace essere “ripreso” dal classico tipino saccente che fa la metà dei tuoi Kg.

Fatto sta che io ho sempre avuto dei buoni carichi ma una tecnica scadente, molto di schiena. Nel 2003 mi fissai sul fare lo squat ad altissime ripetizioni. Volevo tentare un’impresa come quella di Korte del 100×100Kg. Avevo già 52×100Kg. In 6 mesi riuscii a fare 10×10x100Kg (anzi, l’ultima serie in 9×100Kg). Per l’occasione mi ripresi con una telecamera analogica.

La clip fu devastante. A parte il folklore di vedere un tizio in mutandine bianche squattare in una stanza, la mia profondità era sopra il parallelo! Solo i bicipiti femorali erano al parallelo! Eppure mi sembrava di scendere tantissimo!
Decisi di allenare la profondità, basta 10×10 e assurdità simili. Squattavo senza scarpe, decisi di rimettere le scarpe e la tavoletta da 2cm che avevo usato per tanti anni. Oggi si dice che la tavoletta faccia male, a quel tempo, semplicemente non si diceva nulla. Anticipo una cosa di cui parlerò più in avanti: fa male la tavoletta oppure no? Io l’ho usata per anni senza nemmeno pormi il problema. Solo con la scoperta dei forum ho appreso che era dannosa. Il punto che però non mi convince è: ma se io l’ho usata e non mi sono fatto male alle ginocchia, perché dovrebbe fare male? Nessuno sa darmi una risposta se non che “studi scientifici” mai postati/quantificati “dicono che”. Oppure, peggio: “non ti sei fatto male ora, ma ti farai male in seguito”. Che dire se non un bel vaff(beeep).
Iniziai a riprendermi ma era troppo palloso con la telecamera analogica da 50Kg. L’estate dopo ero convintissimo di avere una buona profondità. Vi posto un po’ di foto del libro degli orrori. Attenti, c’è il bollino rosso: guardatele dopo le 22, quando i bambini sono a letto.

Questa foto è del 2004, la prima che mi feci con la macchina fotografica digitale. Sono 160Kg. Spero che non vi debba spiegare che il bilanciere storto è un effetto prospettico. Perché è storto anche l’appoggio destro. Ok per essere pazzo, ma di certo non anche suonato da non accorgermi se il bilanciere è pendente oppure no…
Notate che non uso la tavoletta classica come spessore, ma due pesi da 5Kg, per aumentare l’emozione del rischio… brrrr ma come facevo a pensarle così?
Non vorrei soffermarmi su questo, però. Il punto è: quella della foto era la mia MASSIMA profondità. Uno squat superiore al parallelo, seppure di poco. E per massima intendo proprio che più giù di lì non riuscivo ad andare. Ok, metti meno peso bla bla bla…. Mettevo meno peso, ma il risultato era scadente: ero bloccato, non c’era verso di scendere, una specie di fine corsa, un fermo. Pensavo di essere migliorato, ma… non ero migliorato!

Questa è una foto del 2005. Poiché tutti mi rompevano le palle con questa tavoletta, eliminai la tavoletta. Incredibile, la tavoletta non serviva. 180Kg fatti nella “Maratona McRobert”. Qui per la prima volta mi ripresi con la telecamera digitale. Ero orrido a vedersi. Più che altro, anche stavolta a me sembrava di scendere un casino, quasi culo a terra… in realtà una esecuzione di uno squat parallelo e forse anche un po’di più. Non c’era verso: come se mi sedessi su un blocco di marmo. Non scendevo nemmeno se mi avessero agganciato il Titanic in affondamento.

Risposte tipiche al perché non riuscivo a scendere: hai le anche rigide, hai le caviglie rigide, usi troppo la schiena. Poi la classica: ti farai male. E la straclassica: non sei fatto per fare squat. Ma se metto 100Kg e non riesco a migliorare il movimento, un motivo ci sarà!

Bene. Qui scatta la molla. Ingegneristicamente parlando, io penso che la perfezione sia irraggiungibile, ma tutti possono raggiungere il 70% di questa perfezione. In altre parole, tutti possono raggiungere il livello definito “decente” nella scala di questa fottuta perfezione. Su questo sono intransigente, inamovibile, irremovibile. Sono severo, verso gli altri ma fondamentalmente verso me stesso (aggiungo, in carattere piccolo: solo nelle cose che mi interessano, come mi fa notare la mia dolce metà, per il resto sono un “superficiale pigro indolente parassita pezzo di *****”, testuali parole).

In questo caso (il primo, non il secondo) io mi “impegno” a migliorare. Però per “impegno” non intendo semplicemente “farmi il culo” o “stringere i denti” o “reprimere l’ego e scaricare”. Io intendo due cose consequenziali:

  • dedicare del tempo a capire. Prima si comprende perché le cose non funzionano, poi si agisce per eliminarle. Ritengo cioè che ci sia un momento in cui la voglia di fare debba manifestarsi come voglia di comprendere.
  • capire significa non precludersi nessuna alternativa. Negare le proprie conoscenze e invece documentarsi su quello che si detesta, si odia, si pensa che non funzioni, ma in maniera aperta. Dire che funziona quello che si pensa che non potrà mai funzionare.
Il primo passo fu: quanto è “profondo”? Mi imbattei nel regolamento IPF del powerlifting, la definizione mi piacque: un’alzata per essere valida consiste nell’avere la cresta iliaca sotto la linea immaginaria parallela al terreno e tangente al punto superiore delle ginocchia.

Passai giorni e giorni a fotografarmi mentre mi squattavo libero su un panchetto per capire quando questo avveniva. Marò quanto era difficile…

In più avevo trovato una cosa interessante: c’era un limite massimo a quanto il bilanciere poteva essere spostato indietro sui deltoidi. Se c’è un limite, significa che c’è un motivo per cui si devono frenare comportamenti che potrebbero avvantaggiare chi eccede, cioè fare in quel modo doveva essere migliorativo.

Iniziai a provare e a riprendermi, sempre. Mi allenavo come un pazzo, ripetendo e ripetendo il movimento che mi dava problemi. Non era un allenamento, in fondo, ma un voler imparare una cosa nuova, perciò non mi fissavo su serie e ripetizioni, su Kg o quant’altro, ma mi riprendevo per 1,2 o 3 ripetizioni, mi riguardavo e cambiavo qualcosa. Le mani un po’ più strette, le gambe un po’ più larghe, le punte che vanno o meno in fuori, il bilanciere verso i deltoidi o verso il collo. Insomma, tutti quei particolari che non avevo cagato nemmeno di striscio e che ora assumevano importanza.
Mi allenavo “a minuti”: cosa faccio oggi? 30’ di squat. Contavano solo le ripetizioni, ognuna, mi riprendevo anche nel riscaldamento
Per fortuna che nello stesso periodo conobbi Enrico che si sciroppò tutti i miei video. E’ stato lui che mi ha insegnato le 1000 finezze del back squat. Devo dire un insegnante molto comprensivo, dato che i primi video erano da sghignazzamento totale.

Ad esempio, questo: squat con panchetto e intruso da cui una foto
Fatto sta che dopo 4 mesi di prove con il bilanciere più in basso, le mani più strette, le punte dei piedi e i piedi stessi in varia posizione, un carico più basso (ma non troppo, sui 130-140Kg), uno schema di allenamento diverso, un panchettino da sfiorare all’altezza giusta, video su video, questo è il risultato.
Sono 170Kg ben sotto il parallelo. Riuscii a squattare 190Kg (più del mio precedente risultato parallelo) ancora più profondi. Non cercate difetti quali schiena curva, bacino che esplode o quant’altro. Perché se osservate questa foto e la precedente, è tutto uguale a parte la profondità. Perciò i “difetti” di questo squat sono identici a quelli dell’altro squat, come, del resto, i pregi. Le scarpe sono le stesse. Anche i calzini, dato che mi alleno sempre con gli stessi e li cambio una volta l’anno al solstizio invernale.

Più che altro, dovreste notare l’assenza del rack… Marò se ci ripenso!

Ok, a questo punto la favola ha un bel lieto fine, no? E vissero felici e contenti… o no?